Il ruolo dei media nella violenza di genere
Ogni volta che un giornale, un telegiornale o un social racconta un caso di femminicidio, sta facendo molto più che informare.
Sta contribuendo a costruire la percezione collettiva di cosa sia la violenza, di chi la subisce e di chi la esercita.
Eppure, troppo spesso, la violenza viene narrata come un “raptus di gelosia”, una “tragedia familiare”, un “amore finito male”.
Parole che sembrano innocue, ma che minimizzano la responsabilità dell’aggressore, romanticizzano la violenza e spostano l’attenzione dal problema strutturale: il potere, il controllo, la disuguaglianza di genere.

Allo stesso modo, definire chi agisce violenza come un “mostro” finisce per deumanizzarlo e rappresentare il fenomeno come un’eccezione aberrante, anziché riconoscerne la drammatica ricorrenza e le radici culturali profonde.
La violenza contro le donne non è un evento improvviso.
È l’espressione più estrema di una cultura patriarcale che considera accettabili il possesso, il dominio e la disparità tra uomini e donne.
Per questo il modo in cui ne parliamo conta.
Un linguaggio accurato, rispettoso, consapevole può contribuire a educare, prevenire e promuovere cambiamento.
I media hanno una grande responsabilità: scegliere parole giuste, dare voce alle vittime senza colpevolizzarle, inquadrare la violenza nel suo contesto sociale.
Ma anche chi legge, guarda o condivide può fare la propria parte:
👉 scegliere fonti affidabili
👉 segnalare narrazioni distorte
👉 sostenere una comunicazione che costruisce rispetto
Ciascuno/a di noi può contribuire a una narrazione che rispetta, informa, previene.
“Orphan of Femicide Invisible Victim” è un progetto selezionato da Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile.

